Il Carnevale e la Commedia dell'arte by Toni Spagone

        Il Carnevale, sebbene sia una festa legata al mondo cattolico e cristiano, ha origini pagane derivanti dai Saturnali romani o dalle feste dionisiache greche. Durante queste feste era lecito lasciarsi andare, essere liberi e dedicarsi agli scherzi e ai giochi. Era d’uso anche mascherarsi e quindi non vi era più differenza sociale tra ricco e povero non essendo riconoscibili.

MosaicojpgLe due maschere, tragica e comica, del teatro latino. Mosaico del I secolo a.C. (Musei Capitolini)


La parola “carnevale” ha derivazione latina “Carnem levare” cioè “eliminare la carne”, in quanto identificava il banchetto che si teneva l’ultimo giorno di festa, il martedì grasso, prima del digiuno obbligato dalla Quaresima, periodo in cui a nessuno era concesso mangiare carne.

Durante il carnevale ogni persona può prendere le sembianze di Re e ogni Re può diventare contadino, di prassi ognuno si maschera da quello che non è nella realtà o dalla persona che vorrebbe essere.

Dal Carnevale nasce anche la commedia dell’arte. I personaggi con mezze maschere sul viso di tradizione locale diventano protagonisti di storie scritte da autori importanti come Carlo Goldoni, dove gli attori impersonificano Arlecchino, Pantalone, Colombina e recitano creando ghag divertenti.

Le maschere tradizionali locali iniziano a prendere piede in tutta Italia e tra le principali troviamo:

Arlecchino

Servo imbroglione. Ha origine bergamasca e indossa un costume multicolore con una mezza maschera in cuoio. Il nome deriva da Hellequin, comico diavolesco caratteristico delle messe in scena medievali francesi. Durante il Seicento, il personaggio di Arlecchino ha sempre maggior successo grazie alla sua personalità espressiva: è ignorante ma astuto, ha sempre fame, usa un linguaggio licenzioso e scurrile.

        
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Balanzone

Dottore anziano, saccente e pedante, di origine bolognese. Indossa una toga nera, un cappello e una maschera in cuoio con naso adunco. Molto grasso, è talvolta chiamato dottor Graziano, mentre Goldoni lo utilizza col nome di dottor Lombardi nella commedia “Arlecchino servitore di due padroni”. Pedante, cavilloso, prodigo di inutili insegnamenti e di indesiderati consigli, trova sempre la scusa buona per rifilare a qualcuno uno dei suoi sproloqui, frasi che vogliono essere dotte, ma che nella realtà risultano prive di senso.
             

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Brighella

Un altro servo furbo, anche lui bergamasco, migliore amico di Arlecchino. Come lo stesso Arlecchino, è un’evoluzione dell’antica maschera del Zanni.

Attaccabrighe, vivace, insolente e dispettoso veste un abito di giacca e pantaloni a righe orizzontali con cintura in vita. Il viso è coperto da una mezza maschera in cuoio, porta dei lunghi baffi con in testa un cappello.

Al contrario dell’amico Arlecchino, Brighella non fa solo il servo ma un’infinità di altri mestieri più o meno leciti, per cui si ritrova sempre in mezzo a svariati intrighi.

                                         
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Colombina

Figura veneziana, è la maliziosa servetta di Pantalone spesso oggetto delle sue attenzioni e motivo di gelosia per Arlecchino. A differenza degli altri, durante le commedie non indossa una maschera (Pantalone svestirà la maschera solo nelle commedie goldoniane).

Prima della nascita della commedia dell’arte i personaggi femminili erano sempre tonti e rappresentati da uomini travestiti da donna, solo dalla metà del ‘500 le donne vennero ammesse nella recitazione e assunsero ruoli sempre più importanti e definiti come nel caso di Colombina.

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Capitan Spaventa

Soldato di ventura originario della Liguria. Personaggio colto e di buon senso, è un inguaribile sognatore con molte ambizioni. La figura di Capitan Spaventa è stata inventata dall’attore Francesco Andreini e – cosa molto rara – ne possiamo leggere i tratti distintivi in una raccolta di scritti del suo stesso creatore: Le bravure di Capitan Spaventa. Ha abiti tipici di soldato medievale con mantello e cappello e una mezza maschera con nasone lungo e adunco.

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Gianduja

Personaggio torinese di origini astigiane, dal tipico carattere del popolo piemontese: conservatore, fermo sulle sue posizioni, di parola e sempre di ottimo umore. Inventata verso la fine del Settecento - inizi Ottocento, è diventata famosa e riconosciuta ovunque come maschera simbolo del Piemonte.

Il nome nasce dalla contrazione del nome in piemontese “Gian dla doja”, ovvero “Giovanni del boccale”. E’ sempre accompagnato dalla sua fedele compagna Giacometta.

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Pantalone

Maschera veneziana, nasce nel Cinquecento come un anziano mercante avaro e lussurioso, con un debole per le giovani donne. La maschera dal naso adunco e dalle sopracciglia pronunciate si accompagna a un costume dai colori contrastanti, con calze, calzoni e casacca rossi, mentre cappuccio e zimarra – un lungo soprabito usato dagli uomini a partire dal XV secolo – sono neri. Solo con lo smussamento dei tratti più aspri della Commedia dell’Arte, Pantalone cambia gradualmente, diventando un vecchio buono, serio e un po’ nostalgico, ma è soprattutto con Goldoni che si compie la trasformazione definitiva.

Per Goldoni, Pantalone è sì un vecchio molto severo verso la sua famiglia, ma anche il custode della tradizione e, quindi, di Venezia, che vede corrompersi a poco a poco.

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Pedrolino (Pierrot)

Sebbene debba il suo nome e il suo successo alla Francia, Pierrot è una maschera italiana. Riveste il ruolo del contadino del periodo, con connotazioni di personaggio ingenuo e furbo allo stesso tempo con il nome di Pedrolino. Queste caratteristiche verranno poi riprese e sviluppate nel personaggio francese di Pierrot.

La sua nascita è riconducibile all’evoluzione in un solo protagonista delle tre figure create da Giulio Cesare Croce di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, a opera dell’attore Flaminio Scala. Portato nei teatri d’Oltralpe nella seconda metà del Seicento, Pierrot perde progressivamente le caratteristiche del servo astuto e diventa invece un mimo malinconico e innamorato della luna.

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Pulcinella

Maschera napoletana dal costume bianco e il naso adunco, servo pigro e opportunista. Il nome potrebbe derivare dalla voce chioccia o dal naso a becco (piccolo pulcino), oppure da Puccio D’Aniello in napoletano Pulecenella. Pulcinella incarna la plebe napoletana, l’uomo più semplice, quello che nella scala sociale occupa l’ultimo posto. L’uomo che pur conscio dei propri problemi riesce sempre a venirne fuori con un sorriso. Egli è chiamato a rappresentare l’anima del popolo e i suoi istinti primitivi, appare quasi sempre in contraddizione, tanto da non avere dei tratti fissi: è ricco o povero, si adatta a fare tutti i mestieri oltre al servo fedele eccolo fornaio, oste, contadino, ladro e venditore di intrugli miracolosi, è prepotente o codardo, e talvolta presenta l’uno e l’altro tratto contemporaneamente prendendosi gioco dei potenti.

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Stenterello

Stenterello è il tipico personaggio fiorentino chiacchierone, pauroso e impulsivo; ma anche saggio, ingegnoso e pronto a schierarsi dalla parte del più debole, benché la tremarella gli metta spesso i bastoni tra le ruote: ed è in questo contrasto il fulcro della comicità. Come Gianduja, nasce alla fine del Settecento, ma è caratterialmente molto diverso: sovente pigro, Stenterello è costantemente perseguitato dalle ingiustizie, che riesce a superare solo facendo affidamento alla sua arguzia. Dal naso prominente, assieme alla risposta pronta ha sempre battute pungenti, espresse in vernacolo fiorentino, non volgare ma mite e brioso.




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Tra i vari carnevali storici italiani che oggi attraggono partecipanti da ogni parte del mondo il più famoso è quello di Venezia. La prima testimonianza risale a un documento del Doge Vitale Falier del 1094, dove si parla di divertimenti pubblici e nel quale il vocabolo Carnevale viene citato per la prima volta. Il primo documento ufficiale che dichiara il Carnevale di Venezia una festa pubblica è un editto del 1296, quando il Senato della Repubblica dichiarò festivo il giorno precedente la Quaresima, definendo il Carnevale una festa pubblica aperta a ogni ceto sociale. L’istituzione del Carnevale da parte delle oligarchie veneziane è generalmente attribuita alla necessità della Serenissima, al pari di quanto già avveniva nell’antica Roma (vedi panem et circenses), di concedere alla popolazione, soprattutto ai ceti sociali più umili, un periodo dedicato interamente al divertimento e ai festeggiamenti, durante il quale i veneziani e i forestieri si riversavano in tutta la città a far festa con musiche e balli sfrenati.

Come disse Oscar Wilde: “UNA MASCHERA CI DICE DI PIÙ DI UNA FACCIA”, ognuno in questo periodo può nascondere, rivelare la propria identità o palesare il desiderio di essere altro.

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